Rabbia Narcisistica: teoria e trattamento

Partendo da una nuova concentualizzazione del narcisismo, non più visto come un unico asse evolutivo la cui maturazione dà accesso all’amore oggettuale, bensì come una configurazione psichica della persona attiva per tutto l’arco della vita e che porta a forme più o meno mature di amore oggettuale, Kohut ha riformulato molti concetti psicoanalitici “classici” fondando una vera e propria Psicologia del Sé, basata su nuovi fondamenti teorici.

Kohut non rifiuta totalmente il concetto di pulsione e i meccanismi ad essa connessi, ovvero regressione e fissazione; il suo pensiero è molto più sottile: egli afferma che le pulsioni libidiche ed aggressive diventano un contenuto psichico rilevante solo in seguito a distorsioni nello sviluppo che comportano lo stabilirsi di un Sé non coeso e saldo, tendente quindi alla frammentazione. Egli sostiene quindi che le pulsioni non caratterizzano il mondo esperenziale del bambino (e dell’adulto) se non come prodotti di un Sé frammentato in conseguenza a risposte non empatiche da parte delle figure di riferimento: il Sé indebolito del bambino si rivolge a mete di piacere parziali per contrastare il senso di disintegrazione e di vuoto; pertanto la fissazione pulsionale dell’Io ad una data meta (orale, anale, uretrale, fallica) esiste come figura di sfondo ed è secondaria a tale processo. Questo mi sembra un primo punto di fondamentale importanza per stare vicino il più possibile e comprendere profondamente il mondo esperenziale del paziente, ma più in generale dell’uomo: la pulsione diretta ad una data meta che creerebbe, secondo la visione classica, un certo tipo di carattere corrispondente, risulta ora sempre subordinata alla coesione narcisistica della persona, non avendo più una sua forma di vita autonoma; non è essa la roccia basilare psicologica. Quindi il concetto di tendenza alla frammentazione del Sé come risultato di un processo iniziato nell’infanzia in risposta alle specifiche carenze nella relazione con le figure di accudimento è il perno della visione kohutiana dello sviluppo umano e della psicopatologia. A ciò ovviamente si connette la sua visione sull’aggressività che, come la pulsione sessuale infantile, non è per lui una pulsione primaria ma anch’essa un “prodotto di disintegrazione, primitivo, ma non psicologicamente primario”.

Come sottolineato dagli autori dell’articolo, Kohut elabora una fondamentale nuova concezione della nozione di aggressività, legandola in maniera profonda e quasi indissolubile al concetto di narcisismo e di conseguenza alla maniera specifica in cui l’ambiente del bambino risponde ai bisogni di questo. La rabbia narcisistica appartiene

all’area psicologica dell’aggressività, della distruttività e della collera; quindi è una manifestazione della propensione umana ad avere risposte aggressive e in particolar modo a presentare reazioni di attacco-fuga dove la rabbia narcisistica rappresenta l’attacco (e il ritiro vergognoso la fuga). Per Kohut è necessario riconoscere il primato della ferita narcisistica nella rabbia (e nelle pulsioni libidiche). L’aggressività elementare all’inizio della vita è priva di contenuto rappresentativo e ha come unico scopo quello di sostenere l’affermazione del Sé del bambino nel porre richieste ferme agli oggetti-Sè che gli forniscono un ambiente empatico. Il ruolo dell’aggressività elementare va considerato come volto allo stabilirsi di un Sé rudimentale e successivamente al suo mantenimento e si mobilizza in risposta alle frustrazioni ottimali, ovvero a rinvii non traumatici delle risposte empatiche degli oggetti-Sè. Inoltre Kohut sostiene che l’aggressività non distruttiva abbia una sua propria linea evolutiva: essa non scaturisce da un istinto primario aggressivo il quale deve essere educato, bensì tale aggressività evolve da una forma rudimentale fino ad una forma matura di autoaffermazione utile per portare a termine dei compiti, aggressività che regredisce non appena gli obiettivi per cui si era innescata vengono raggiunti.

Se, altresì, vi sono stati fallimenti empatici traumatici prolungati degli oggetti-Sè nell’infanzia allora si instaura la rabbia narcisistica cronica che è una trasformazione dell’aggressività non distruttiva quando vi è una ferita del Sé. La rabbia narcisistica assume molteplici forme e diversi gradi di intensità, ma è sempre caratterizzata da un “bisogno di vendicarsi, di raddrizzare il torto, di annullare un torto con qualsiasi mezzo, di volgere un’esperienza passiva in attiva, di pareggiare i conti” (Kohut, 1982, p. 150) che non dà riposo a coloro che sentono bruciare una ferita narcisistica. E questo avviene perchè in questo vissuto l’aggressività non è integrata con i propositi maturi del Sé ma si mobilita in una percezione arcaica della realtà dove l’altro non è un avversario separato che persegue i propri scopi tutt’al più intralciando quelli del soggetto; l’altro è percepito come una “macchia in una realtà vissuta narcisisticamente” e l’autostima dipende in maniera strettissima dalla disponibilità incondizionata di un oggetto-Sè di tipo speculare che dispensa approvazione e conferme o di un oggetto-Sè idealizzato che può tutto e consente la fusione.

Veniamo ora ad un altro punto fondamentale della teorizzazione kohutiana cui i due autori accennano in alcuni punti del loro scritto: la modalità con cui Kohut è giunto alle sue concezioni sulla psiche umana, ovvero l’introspezione vicariante e la comprensione empatica, che sono insieme un metodo d’osservazione e un metodo d’intervento. Per

Kohut questo è un concetto cardine della Psicologia del Sé tanto che il primo dei suoi scritti è un saggio sull’empatia ed è un saggio sull’empatia a chiudere i suoi lavori. Secondo l’autore i fenomeni mentali, psichici e psicologici possono essere definiti tali solo se caratterizzati in maniera essenziale da un’osservazione introspettiva ed empatica. Kohut ha definito l’empatia come il metodo di osservazione della psicologia del profondo: essa è un’estensione dell’introspezione vicariante e una specifica operazione di raccolta dei dati mediante l’osservazione accurata della vita interiore dell’analizzando, l’unica che permette di cogliere il vissuto dell’altro e di darne solo successivamente una spiegazione. Questi due processi gli hanno permesso di fare le sue scoperte sul narcisismo, spogliando questo concetto da un giudizio morale e distante dal vissuto emotivo dei pazienti cui lo ancoravano le teorie freudiane e restituendo a questo aspetto della vita umana una dignità e un complesso di sofferenze e bisogni altrettanto curabili ed analizzabili. Kohut definisce inoltre l’osservazione empatica come “la strada dal basso” per fare teoria in maniera empirica e vicina all’esperienza contrapponendola a quella dall’alto, ovvero epistemologica, cui vincola i concetti di pulsione, di indipendenza e di conoscenza come valore supremo perseguiti dalla psicoanalisi classica.

E proprio il punto di vista empatico-introspettivo è quello che ha permesso a Kohut di comprendere i diversi tipi di traslazione d’oggetto-Sè che egli teorizza in relazione ai diversi e specifici deficit empatici dell’ambiente di accudimento esperiti nell’infanzia. Afferma Kohut: “L’introspezione prolungata nei disturbi narcisistici e negli stati limite porta al riconoscimento di una psiche non strutturata, che si sforza di mantenere il contatto con un oggetto arcaico, o di conservare una tenue separazione da esso. Qui l’analista non è lo schermo per la proiezione della struttura interna (traslazione) ma la continuazione diretta di una realtà primitiva che era troppo distante, troppo rifiutante o troppo instabile per essere trasformata in una solida struttura psicologica. (…). L’analista è il vecchio oggetto con il quale l’analizzando cerca di mettersi in contatto (…) o da cui tenta di trarre un minimo di struttura interna” (Kohut, 1982, p.37). Questo passaggio è di cruciale importanza poiché lascia intendere sia il tipo di investimento molto profondo che il paziente ha nei confronti del proprio analista sia il tipo di cura proposta da Kohut, che riguarda proprio la creazione delle strutture interne alla persona attraverso l’interiorizzazione trasmutante. Questo è il punto della teorizzazione kohutiana maggiormente affascinante: l’idea che il cambiamento possa avvenire non secondo l’educazione o il perseguimento della verità ma attraverso l’evoluzione del soggetto in una specifica relazione interpersonale. Il lavoro sulla rabbia narcisistica, secondo l’autore, non avviene in maniera diretta, ovvero educando l’Io ad aumentare il controllo sugli impulsi rabbiosi, una volta riconosciuti; avviene altresì secondariamente alla trasformazione graduale da un lato della grandiosità arcaica in autostima posta al servizio di mete realistiche e soddisfacenti e dall’altro del bisogno di fusione con l’oggetto-Sè idealizzato in ideali significativi. Pertanto l’obiettivo è la “trasformazione della matrice narcisistica da cui la rabbia si origina” (Kohut, 1982, p.152). E ancora ciò avviene rendendo il paziente consapevole delle proprie ferite narcisistiche presenti e passate e non attraverso l’accettazione e il controllo dei propri desideri distruttivi innati. È interessante notare come Kohut sia giunto a tali conclusioni anche attraverso il riconoscimento delle cosiddette resistenze e dei transfert negativi, comprendendo le une come reazioni a fallimenti empatici da parte dell’analista e gli altri come riattivazioni di reazioni a fallimenti empatici delle figure significative nell’infanzia.

Nell’esemplificazione clinica dell’articolo proposto, infatti, si può notare come il terapeuta abbia la possibilità innanzitutto di cogliere profondamente il vissuto del paziente attraverso l’utilizzo dell’empatia e solo successivamente possa aiutarlo da un lato a verbalizzare cosa ha cagionato la sua rabbia e dall’altro a sentirsi compreso e accettato nel suo vissuto. Kohut sostiene che questi vissuti non debbano essere censurati dall’analista ma debbono essere per un certo tempo accettati, non criticati e implicitamente approvati: se l’analista mantiene il proprio atteggiamento empatico nei confronti dei bisogni narcisistici del paziente e verso la sua rabbia anche il paziente impara ad accettare e a comprendere le richieste arcaiche del Sé grandioso e la propria propensione alla rabbia.

Il contributo di Kohut ha da un lato avvicinato la psicoanalisi all’esperienza reale delle persone e dei pazienti, a certi vissuti fondamentali, in primo luogo la vergogna e la rabbia, che nella concezione classica rimanevano molto distanti dalla vera percezione delle persone; dall’altro l’ha sbrigliata da un ruolo educativo e di conformazione sociale che tendeva ad obiettivi predeterminati in una gerarchia di valori dell’uomo decisa in modo aprioristico e non tarata sul paziente specifico. Kohut non persegue un ideale di verità né una serie di obiettivi da raggiungere per accedere alla vita adulta, come la rinuncia al principio di piacere, il raggiungimento della triangolarità, il controllo delle proprie pulsioni (dove c’è l’Es ci sarà l’Io). Per Kohut un’analisi termina quando una persona riesce a percepire il proprio benessere, quando un settore del Sé riesce ad esprimere se stesso attraverso i propri talenti, le propri ambizioni e i propri ideali posti al servizio di attività creative e gratificanti. Questa visione sugli scopi dell’analisi ha le sue basi nel fatto che la concettualizzazione di un difetto dell’Io porta necessariamente ad un lavoro educativo il cui fine è aiutare il paziente a riconoscere le disfunzioni del proprio apparato psichico in maniera cosciente ed imparare a modularsi, sempre consciamente. La concettualizzazione di un patologia del Sé, invece, conduce alla riattivazione di certe specifiche pretese di antiche costellazioni psichiche e all’elaborazione fattiva di queste. In definitiva il passaggio che Kohut ci aiuta a compiere culturalmente, e non solo in ambito strettamente clinico, è quello di accettare e di essere indulgenti nei confronti dei nostri bisogni narcisistici grandiosi (quelli di fusione con l’oggetto-Sè idealizzato sono maggiormente tollerati), spogliandoli di una visione moralisticso-cristiana votata all’altruismo e alla rinuncia di sé in funzione del prossimo e non sottoponendoli a scissioni verticale: d’altronde allo stesso modo Freud ci ha aiutati ad accettare la sessualità come parte integrante della vita dell’uomo senza vergogna e pregiudizio.

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